La variante Omicron, identificata per la prima volta a novembre del 2021, presenta un numero importante di mutazioni della proteina spike, molte nella regione della proteina che lega il recettore delle cellule umane (l’RBD, receptor-binding domain), promuovendo l’ingresso virale nelle cellule. In due diversi studi, i ricercatori dell’University of Washington e di Vir Biotechnology hanno cercato di comprendere la struttura di questa variante e l’impatto della sua diffusione.
“La prima ricerca, pubblicata da Nature, ha dimostrato che delle 37 mutazioni presenti nella proteina spike di Omicron, 15 si trovano nel receptor-binding domain”, spiega in un’intervista a Popular Science Gyorgy Snell, co-autore dell’articolo e ricercatore di Vir Biotechnology. “Nove di queste mutazioni si trovano nel sottodominio di RBD che interagisce direttamente con il recettore ospite ACE2, il receptor binding motif (RBM)”.
L’autore sottolinea come queste mutazioni abbiano avuto un impatto non solo sull’attività di neutralizzazione del plasma degli individui convalescenti e vaccinati, ma anche sulla maggior parte degli anticorpi monoclonali (mAb) diretti contro il receptor binding motif.
“Nella seconda ricerca, pubblicata di recente da Science, abbiamo esaminato più da vicino le interazioni tra la variante Omicron e gli anticorpi monoclonali. I nuovi risultati mostrano i dettagli molecolari del notevole spostamento antigenico mostrato da Omicon rispetto alle varianti precedenti”. I ricercatori sono stati in grado di definire, in termini quantitativi, la capacità degli anticorpi monoclonali usati come terapia contro il Covid-19 di legarsi all’RBD Omicron. Hanno osservato che il legame tra la variante Omicron e il recettore è più forte, e allo stesso tempo il virus evita il legame e la neutralizzazione della maggior parte degli anticorpi monoclonali autorizzati. “Quando il legame è ridotto, gli anticorpi monoclonali perdono la potenza di neutralizzazione”, spiega Snell.
Un anticorpo molto simile a sotrovimab (monoclonale prodotto da Vir e Gsk, indicato per chi rischia di sviluppare una forma grave di Covid-19) usato negli esperimenti ha mantenuto l’attività contro Omicron, continua Snell. “Questo risultato mostra la validità dell’approccio di Vir, di prendere di mira una regione altamente conservata della proteina spike”.
Per quanto riguarda l’efficacia dei vaccini, sono stati pubblicati pochi studi, alcuni molto piccoli o condotti solo in vitro. I risultati suggeriscono che l’efficacia dei vaccini contro le forme sintomatiche di Covid-19 sia inferiore per Omicron rispetto ad altre varianti e tenda a diminuire nel tempo. La vaccinazione sembra comunque continuare a fornire un elevato livello di protezione contro le forme gravi e le ospedalizzazioni legate alla variante Omicron.
Una ricerca condotta in Sud Africa, dove al momento dello studio la variante Omicron era responsabile di più della metà dei casi, indica che le persone che hanno ricevuto due dosi di vaccino contro il Covid-19 hanno fino al 70% di protezione contro il ricovero ospedaliero. Ci sono dati che suggeriscono che le persone che hanno ricevuto una dose di richiamo sono più protette rispetto a quelle che hanno ricevuto solo il loro ciclo primario.
“Potremmo pensare di creare nuovi ed efficaci vaccini – conclude Snell – cercando di stimolare un’immunità rivolta contro le regioni altamente conservate, che rappresentano il tallone di Achille dei coronavirus”.
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